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Il Viaggio di Arkan

Il Viaggio di Arkan


Sono partito dal mio villaggio in piena notte, nella primavera del 2012. Avevo 15 anni appena compiuti.

Non dimenticherò mai quel momento, quandoiniziòil lunghissimo viaggio, durato quasi due anni,che mi ha portato fino a Napoli nella primavera del 2014.

I miei genitori sapevano che sarei andato via, viste le difficoltà economiche e di sopravvivenza quotidiana che attraversava la mia famiglia, ma non immaginavano che lo avrei fatto quella notte. Partii, con l’intenzione di arrivare in Europa,  insieme ai miei 6 compagni di viaggio, tutti di due-tre anni più grandi di me.

Lasciammo il nostro villaggio e arrivammo al centro urbano più vicino, Madaripur; da qui prendemmo una corriera che ci portò fino a Dacca, la capitale del Bangladesh.Poi, dopo tre giorni di attesa, prendemmol’aereo egiungemmo ad Islamabad, in Pakistan.

Fin qui, a parte l’emozione del primo volo aereo e la paura per i documenti contraffatti, il viaggio fu abbastanza semplice e persinodivertente:  viaggiare tutti insieme per la prima volta fuori dal villaggio, con un misto di paura, disperazione, incoscienza, ma anche con una gran voglia di mettersi in gioco e di scoprire altri luoghi, ci dava l’emozione dell’avventura!

Dal Pakistan ci dirigemmoverso l’Iran. Ma qui le sensazioniiniziarono a cambiare.Ci spostavamo quasi sempre di notte, a piedi o con i pick up, mentre di giorno usavamo delle corriere eci fermavamo in delle case senza poter uscire, per non farci scoprire dalla polizia. Ci muovevamo seguendo i diversi passeurs, che si scambiavano i nostri documenti e le informazioni sulle tappe successive, ed incrociando altre persone che seguivano le stesse nostre rotte.Dopo circa due mesientrammoin Afghanistan.

Dopo molte settimane arrivammo aKabul.Nascosti in un appartamento, in attesa delle successive indicazioni per proseguire il viaggio. Dopo circa 3 settimane, finalmente ripartimmo tutti e 7 da Kabul e continuammo a spostarci, fermandoci di casa in casa.Ogni notte aumentava la paura di essere scoperti ed arrestati dalla polizia, che si diceva diventasse sempre più dura e pericolosa.

Trascorremmocirca quattromesi, attraversando l’Afghanistan e l’Iran, per poi raggiungere il confine con la Turchia.Entrati in Turchia, fummofermati ed arrestati. In prigione fummo sottoposti a interrogatori quotidiani.I poliziotti volevano rimandarci indietro in Bangladesh, e a questo scopo provavano ad estorcerci la confessione sulla nostra provenienza ma, preparati a questa evenienza, ci dichiarammo cittadini del Myanmar (Birmania),dove non potevano rimpatriarci a causa della guerra civile nel paese. Chissà come e perché, dopo circa tre mesi di prigione e di continui interrogatori, liberarono i più piccoli di noidicendoci di andare subito via dalla Turchia.

Rimanemmo in tre, e, dopo aver ripreso i contatti con alcuni passeur in Turchia, ci dirigemmo verso il confine con la Grecia.

Dopo altre notti passate soffrendo il freddo e la fame, nascondendoci dalla polizia tra le campagne turche in attesa di trovare la strada libera,  incontrammo altri gruppi di persone che tentavano la stessa nostra sorte. Molti di noi si ammalarono e furono catturati dai poliziotti turchi. Noi, fortunatamente,scampammo alle numerose retate e, giunti in prossimità del fiume Evros, aspettammo il momento opportuno per attraversarlo.

Qui ricordo cheuna notte, avendo una fame immensa, intravidi un albero con dei fruttisimili alle mele, ne presi alcune, neaddentaiuna con molta forza,e sentii un fortissimo dolore: era più dura di una pietra, e mi ruppi i denti…come puoi ben vedere…!

Finalmente, una notte, insieme ad altre 15 personecirca, decidemmo di oltrepassareil fiume. Io avevo una paura grandissima a vedere la piccola barchetta sgangherata su cui dovevamo salire, rimanendoimmobili e in silenzio, col rischio di cadere e di annegare. Non sapevamo nuotare.

Ma alla fine arrivammo inGrecia, in Europa! Ci accorgemmo subito che non era l’Europa che immaginavamo. Dopo molte nottidi cammino, fummo ad Atene. Qui ci fermammo e capimmo  come organizzare la nostra nuova vita; mi ritrovai solo, perché i miei due compagni vollero proseguire il viaggio verso l’Italia.

In Grecia rimasicirca un anno.Ad Atene lavoravo presso un fioraio,una brava persona, che aveva un piccolo negozio molto frequentato, e dove imparai anche un po’ di greco. Non stavo male in Grecia, ma non avevo i documenti, né il permesso di soggiorno e quindi anche qui dovevo nascondermi, finché un giorno non fui controllato dalla polizia, arrestato e portato in un campo che sembrava una grande prigione (avevo 16 anni). Rimasi rinchiuso per circa tre mesi, insieme a più di duecento, tra i quali c’eranomiei connazionali e persone di varia provenienza che mi diedero molte informazioni sulle possibilità di proseguire il viaggio verso l’Europa. E qui decisi che sarei venuto in Italia in cerca di una situazione migliore, immaginando che a Napoli o a Roma avrei trovato molti altri bengalesi che avrebbero potuto aiutarmi a continuare il viaggio. Appena uscito dal Campo, mi diedi da fare per ottenere dei documenti falsi con i quali poter attraversare la frontiera con l’Italia.Da Atene mi spostai verso il Peloponneso e, dopo aver raccolto il denaro e i documenti, un pomeriggio mi imbarcai a Patrasso sulla prima nave per l’Italia.

Non ricordo se era Bari o Brindisi, ricordosolo la grande emozione quando, dopo aver passato i controlli della polizia sulla nave, scesi sulla terra ferma e mi incamminai verso la prima stazione ferroviaria. Diretto a Napoli.

Ho ascoltato questo racconto per circa tre ore,  seduto sugli scogli di fronte al mare, a Bagnoli, un pomeriggio di fine luglio del 2015. Mentre il giovane Faran(compagno di comunità) si tuffava ripetutamente nel mare di fronte a noi, Arkan ripercorreva in un buon italiano le tappe incredibili del suo viaggio. Il ricordo delle difficoltà e delle sofferenze non era abbastanza forte da rovinare il sorriso di quel volto intelligente e sensibile .

Dopo tre mesi Arkan avrebbe compiuto 18 anni e avrebbe dovuto lasciare la Comunità per minori che lo aveva accolto, a causa del raggiungimento della maggiore età, interrompendoil percorso di inclusione socio – educativa intrapreso meno di un anno prima (ottenendo la licenza media inferiore, completando un tirocinio formativo come cameriere ed ottenendo il permesso di soggiorno e tutta la documentazione necessaria…).

Occasionalmente ho rincontratoArkane l’anno scorso, quando è venuto a salutarci al Centro interculturale Nanà, ho gioito insieme a lui per il lavoro “regolare” di giardiniere che, con passione e amore, sta svolgendo presso delle famiglie di Via Posillipo. Ho notatola sua nuova dentatura, frutto del denaro ottenuto con il suo lavoro, che gli ha restituito la dignità e la bellezza di un sorriso che risplende come una metafora del riscatto dalle difficoltà, delle umiliazioni e delle sofferenze subite durante il viaggio, una interminabile odissea di due anni.

La storia di Arkan è una tra tante, le migliaia di altre storie di migrazione, di fuga e disofferenza, di giovani e giovanissimi, e non solo, che lasciano la loro terra, la loro famiglia, per un dove che non si sa, loro malgrado.

Glauco Iermano

Napoli, 21 ottobre 2018